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Shayne, anatomia di una star dimenticata

Un ragazzo ossessionato dalla pop star del momento, un rocker senza memoria, un’indagine sulla cultura popolare e le sue icone. Sono gli ingredienti di “Shayne”, serie tv di Stephan Geene presentata alla Berlinale 2019 nella sezione Forum Expanded.

Al contrario dei poster a puntate di Bravo, che le adolescenti tedesche ritagliavano e attaccavano fino a ottenere la figura a grandezza naturale, Stephen Geeene smonta pezzo dopo pezzo l’icona pop, il rocker, il padre, il figlio, la meteora dello show business, il sex symbol, lo sconfitto, il vincitore Ricky Shayne. E lo fa mescolando la passione del fan e la distanza dello psicanalista, la durezza del poliziotto e la freddezza del medico legale.

SHAYNE, serie tv nata come film sulla scia di uno spettacolo teatrale, è tra i titoli più difficili da catalogare nella selezione Forum Expanded della Berlinale. Il montaggio definitivo, sei episodi di venti minuti, è stato presentato in anteprima il 12 febbraio al Delphi Filmpalast di Berlino.

A dieci anni Ricky Shayne è comparso nella mia vita e niente è stato più lo stesso – racconta il regista tedesco Stephan Geene (After effect, 2007) – lo vedevo sulle riviste come Bravo, a volte sfacciato e ribelle altre volte calmo e riflessivo, non era uguale a nessun altro personaggio che avessi visto prima. Comunicava un modo nuovo di essere un cantante, un personaggio, un maschio. Già, perché anche la sua immagine di sex symbol era qualcosa di non catalogabile, con una parte femminile che emergeva da sotto la corazza del playboy”.

Copertine, poster, riviste. Come quella foto in cui Shayne appare nudo con la chitarra a coprire ciò che in una rivista per teenager non poteva essere pubblicato. Il regista lo incalza: “Eri un oggetto sessuale, come la vedi adesso che il mondo è cambiato?”. E lui:

Il giornalista era innamorato di me, credo fosse gay. Mi chiese di posare in quel modo per vendere un po’ di copie in più, questo è quanto

Ricky Shayne

Perché non è stato facile tirare fuori ricordi, incontri, aneddoti da Ricky che per molti aspetti resta imperscrutabile, restio a ogni tentativo di scardinare la sua scatola nera di ricordi. “Ho dovuto ricostruire la cronologia dei fatti della sua vita attraverso i rotocalchi come Amici e Ciao ragazzi in Italia e Bravo in Germania, e parlando con chi ha avuto a che fare con lui nel corso degli anni. Produttori, autori, amici. E poi ne ho chiesto conto a Ricky”. Cosa aveva fatto per farsi cacciare da Roma, visto che il suo produttore Franco Migliacci lo adorava? Il viaggio in Libano? Cosa ha provato a tornare nel Paese in cui era cresciuto e da dove era scappato? Il rapporto con la famiglia di origine (padre libanese manager petrolifero, madre francese dalle spiccate doti artistiche) dalla quale si è allontanato a sedici anni? Interrogatori intervallati da qualche grande canzone (“The long and winding road”, insieme a una giovane chitarrista, emoziona) e dal kraut-pop di bassa lega cantato all’alba degli anni Settanta:

Era merda e ho provato a trasformarla in oro, in maniera professionale, e forse ci sono anche riuscito

Ricky Shayne

Lui si arrabbia poi si addolcisce, spiega, racconta, canta, come sempre suona la sua chitarra che è un’arma in attacco e uno scudo in difesa. La chiave di tutto sono i due figli, Tarek e Imran, oggi ventenni. Più che interpretarlo in SHAYNE provano a mettersi nei suoi panni, ripercorrendo le tappe della sua vita e provocandolo un po’.

Ma perché Ricky si sottopone a tutto questo? “Perché pensava fosse un bene per i suoi figli, nati quando lui era già uscito dall’industria discografica che conta. I due hanno un rapporto controverso con il padre. Con il film prova a svelarsi anche a loro, in modo nuovo. Come si capisce guardando la serie, è impossibile capire chi è davvero Shayne, non l’ho capito neanche io che ho studiato la sua vita a fondo e lo frequento ormai da anni. Va da sé che la ricerca è il senso stesso dell’opera”. Perché SHAYNE è un’indagine su una star che lo è stata senza volerlo, almeno apparentemente, e senza sforzi grazie a un carisma naturale e una grande voce che il tempo non ha logorato, anzi. Con la stessa facilità è caduta dal piedistallo.

Il prodotto è alla ricerca di una distribuzione, si spera internazionale, e con la forma scelta, quella della serie, l’approdo naturale è quello della tv e delle piattaforme di streaming. Chiamate a superare un paio di ostacoli, non di poco conto, come l’assenza di una parte biografica (chi ricorda oggi Ricky Shayne?) e l’approccio molto teatrale del primo episodio.

Hai costruito un castello ma non puoi viverci. Sciocco

SHAYNE ep. 1

dice la voce guida che insieme al regista tiene le fila del discorso.

Alle riflessioni e ai simbolismi sopravvissuti alla trasposizione del testo nel linguaggio cine-televisivo si alternano l’impareggiabile materiale d’archivio (da segnalare l’esibizione live al Cantagiro ’67 con i suoi Skylarks, presentati da Mario Carotenuto, e una energica “I will survive” migliore di tante versioni più popolari), gli interrogatori del regista e i dietro le quinte agrodolci che svelano l’amore di Geene per questa strana meteora pop. E tradiscono la frustrazione per il disinteresse che oggi provoca in Germania.

Info e riferimenti – SHAYNE è una serie tv prodotta dalla bbooks in sei episodi da venti minuti ed è il naturale proseguimento dello spettacolo teatrale Mutwillig Shayne. Nel cast oltre a Ricky Shayne e ai figli Tarek e Imran anche Kerstin Cmelka, Claudia Basrawi e il regista Stephan Geene.